Counter

martedì 5 ottobre 2004

Alla rinfusa


Mise di fretta e alla rinfusa le poche cose che s’era portata in quella sacca nera che aveva comprato all’inizio dei loro incontri. Se n’era andato... non sarebbe tornato più. Non aveva lacrime, né ne tratteneva. Solo un dato di fatto nella sua testa: era finita. Si stupì della sua reazione. Quante volte aveva immaginato la cosa? Quante volte aveva voluto prepararsi a quella possibilità? Quanti discorsi tranquillizzanti s’era preparata? Infinite, infiniti... e forse era per questo che “prendeva atto”…, solamente quello.
Tante volte aveva recitato nella sua mente quella scena che e ora si muoveva come un’attrice alla centesima replica, con gesti misurati e sicuri, seguendo quel copione immaginato.
Scacciò un ricciolo sulla fronte. Un gesto abituale, un gesto che anche lui le faceva spesso quando i suoi capelli le cadevano sugli gli occhi mentre facevano l’amore… voleva vedere… voleva vedere sempre i suoi occhi. Fu quello, fu quel gesto che la risvegliò. L’attrice improvvisamente dimenticò la sua parte e il suo corpo non rispose più agli impulsi che gli arrivavano. Si trovò seduta sulla “sua” poltrona, il viso nelle mani che avevano perso la sicurezza dei gesti e che cominciavano a tremarle. Buttò indietro la testa e si lasciò andare. Per la prima volta, dopo tanti mesi, era sola, di nuovo sola, disperatamente sola.
Si immaginò allo specchio l’indomani mattina, la prima mattina in cui non avrebbe avuto un sms con il buongiorno.
Come si sarebbe vista? Chi avrebbe visto?
Pensò a quello che era prima, prima che arrivasse lui, e scacciò quell’immagine estranea ma incombente e opprimente.
Pensò a come s’era specchiata la mattina pensando a quell’incontro, e si ricordò la bellezza dei suoi lineamenti distesi, della sua voglia d’abbracciare il mondo, di abbracciarsi e ballare con se stessa.
Alla seconda boccata della sigaretta che aveva acceso, cominciò a piangere.
Era solo una bambina che aveva perso la mano calda che l’accompagnava. Una bambina spaventata dal mondo che la circondava. Una bambina senza protezione… e la poca luce che filtrava dalla finestra di quella stanza in penombra le fece riprovare la sensazione della paura del buio, una sensazione persa da quando aveva cominciato a condividerlo con lui, e ora i fantasmi tornavamo a martellarle le tempie… e un odore intenso di farina le salì alle narici.
Sentì la vescica improvvisamente piena, ma non osò muoversi… avrebbe lasciato tracce su quella farina, e un altro “lui” si sarebbe accorto che si era alzata a fare la pipì.
Improvvisamente si scosse. Non era nella cameretta della sua infanzia, ma nella casa in cui era stata “donna”. Donna completa, donna che amava, che amava d’amore mai provato, e che sapeva essere amante depravata per il suo uomo a cui non bastava mai. Donna bambina per un altro “lui” che avrebbe lasciato una traccia nella sua vita.
Non riusciva a alzarsi… aveva paura di lasciare anche lì tracce nella farina, e se lui fosse tornato avrebbe capito che s’era alzata per andarsene, e non voleva andarsene. Improvvisamente sentì caldo fra le cosce, e risentì quel calore che provava quando lui l’accarezzava fra le gambe. Invece era calore diverso… era la sua vescica che s’era svuotata senza che lei se n’accorgesse. Cominciò a tremare e passi cadenzati gli rimbombarono in testa. Rivide una cinghia… quella cinghia nera che aveva violentato la sua pelle, mentre “lei” si defilava per non vedere…
Non avrebbe urlato, non avrebbe urlato nemmeno quella volta. Sarebbe uscita dal suo corpo per andare a camminare sulle riva di un lago dorato, cullando Minnie fra le sue braccia, mentre la sua pelle avrebbe perso candore per diventare rossa… sempre più rossa a ogni nuovo sibilo.
La poltrona di pelle non assorbiva, e lei continuò a stare in quel “lago dorato” della sua urina, con quell’odore acre che si sentiva addosso.
Quante volte era stato piacevole sentirlo quando lui le riempiva la bocca guardandola fissa negli occhi. Quante volte era stato piacevole sentirlo mentre le loro bocche s’univano in quel bacio “sporco” ma puro, d’una purezza che è la condivisione estrema dei propri corpi. Una bocca meravigliosa… meravigliosamente sporca… quella stessa bocca che baciava la figlia riusciva a degradarsi per il proprio piacere, per il piacere del proprio uomo.
Si bagnò le dita e le portò alla bocca per riassaporare quel gusto, ma un conato di vomito le venne improvviso. Non era la stessa cosa… non era lo stesso sapore… non era condivisione… era solo piscia in bocca, piscia stomachevole.


“Mamy mi sono persa… mi sono persa di nuovo… t’ho delusa… non ce l’ho fatta, ma lo volevo sai?… è la cosa che ho voluto più di tutte. Mi perdoni Mamy?... Mi perdoni?”


Ma anche questa volta Mamy se ne andò, leggera, impalpabile, per non vedere la sua bimba coi jeans bagnati fra le cosce. Per non vedere la sua bimba che non era riuscita a crescere. Per non vedere la sua bimba che non aveva saputo amare fino in fondo. Per non vedere la sua bimba che non aveva avuto coraggio. Per non vedere la carne della sua bimba ancora violentata. Da se stessa però, questa volta.
















2 commenti:

  1. E piangerai mettendo in scena l' ennesimo dramma
    Mentre le lacrime corrono sulle tue guance infuocate,
    Eva
    E giurerai su Dio e su tua madre di non aver colpa
    Mentre le lacrime bagnano la tua camicia di seta

    Credetemi è un sortilegio
    E' l'opera di un incantesimo
    Non ero padrona delle mie facoltà
    Non ero padrona delle mie facoltà

    Fortuita e perfetta colonna sonora!

    E il tempo continua ad assistere la mia fuga verso l'uscita...

    RispondiElimina